Il 12 ottobre manifestazione nazionale a Roma per difendere e applicare la Costituzione della Repubblica Italiana

Chi era il Re del Porno, l’uomo che ha abbandonato la scuola a 15 anni ed è diventato milionario?

L’imprenditore rivoluzionò l’industria pornografica con un prodotto più esplicito e inquietante, che gli valse diverse cause per oscenità. Un attentato lo costrinse sulla sedia a rotelle fino alla morte.

Larry Flynt, noto come il Re del Porno negli Stati Uniti, rivoluzionò l’industria pornografica offrendo un prodotto più esplicito e inquietante con il marchio Hustler. Ricevette diverse cause per oscenità e rivendicò sempre la libertà di espressione. Un attentato fuori da un processo lo lasciò su una sedia a rotelle fino alla sua morte, avvenuta il 10 febbraio 2021, all’età di 78 anni.

Figlio di un padre alcolizzato e di una madre adolescente, Larry Flynt nacque il 1° novembre 1942 in una famiglia umile della contea di Magoffin, nel Kentucky. La sua infanzia non fu facile: i genitori si separarono quando lui aveva 10 anni e sua sorella Judy morì di leucemia.

A 15 anni abbandona la scuola e ottiene un certificato di nascita falso per arruolarsi nell’esercito. Anche se fu congedato dopo sette mesi, riuscì a entrare in Marina. Qui prestò servizio come operatore radar fino al pensionamento con lode nel 1964.

Larry Flynt: come ha costruito il suo impero nell’industria del porno

Si sposò per la prima volta nel 1961, quando aveva solo 19 anni. Tuttavia, la moglie Mary non si divertì quando lui aprì uno strip club a Dayton, una piccola città dell’Ohio, con i suoi risparmi nel 1964, quando la rivoluzione sessuale pompini nella società era ancora lontana.

Fu il primo di numerosi locali che aprì in tutti gli Stati Uniti e che lo posizionò come punto di riferimento nell’industria del sesso. Quattro anni dopo, possedeva otto locali in Ohio, che chiamò Hustler Club, più accessibili dei Playboy Club.

In quel periodo Flynt iniziò a stampare una newsletter di due pagine in bianco e nero per i clienti dei suoi club. La pubblicazione iniziò a crescere in popolarità fino a quando, nel luglio 1974, lanciò la propria rivista pornografica, Hustler, che presto ebbe una tiratura di oltre 2 milioni di copie. In questo modo, iniziò a guadagnare circa 30 milioni di dollari all’anno.

Uno dei punti di svolta nella fama della rivista avvenne l’anno successivo, quando pubblicò le immagini di Jacqueline Kennedy Onassis, la vedova dell’ex presidente John F. Kennedy, nuda in una piscina in Grecia. Il paparazzo aveva offerto le foto alla stampa, ma tutti si erano rifiutati di pubblicarle.

Larry Flynt: porno esplicito e processi per oscenità

Nello stesso campo, aveva la concorrenza di altre note pubblicazioni come Playboy e Penthouse. Tuttavia, per differenziarsi da esse, Flynt optò per esporre un profilo più crudo ed esplicito del video porno gratis, in modo che la classe operaia si sentisse maggiormente identificata.

“Mi sono reso conto che se fossimo diventati più espliciti, avremmo potuto conquistare una grossa fetta di questo mercato. Sentivo che il sesso crudo era quello che gli uomini volevano. E avevo ragione”, ha ammesso in un’intervista.

Questa smania di distinguersi dalla massa portò alla pubblicazione di immagini sempre più inquietanti, che andavano dalla mutilazione allo stupro di gruppo. Una delle copertine più controverse era il montaggio di una donna in un tritacarne. Per difendersi dalle critiche, spiegò che si trattava di una critica all’industria del porno.

In quegli anni ricevette molte querele e denunce. Tuttavia, ha sempre invocato la libertà di espressione sancita dal Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti.

Jerry Falwell, televangelista e fondatore della Moral Majority, gli ha fatto causa per 45 milioni di dollari per diffamazione e stress emotivo dopo che Flynt aveva pubblicato una vignetta in cui Falwell affermava che il suo primo rapporto sessuale era stato con sua madre.

Sebbene il reverendo abbia vinto in un tribunale di grado inferiore, il caso è stato sottoposto alla Corte Suprema degli Stati Uniti e, con una decisione unanime degli otto giurati, Flynt è stato dichiarato non colpevole, rafforzando i diritti di libertà di parola e le protezioni per la satira nel Paese. La Corte ha comunque riconosciuto al signor Falwell 200.000 dollari per danni emotivi.

Larry Flynt: le sparatorie che lo hanno costretto sulla sedia a rotelle fino alla sua morte

Il 6 marzo 1978, mentre usciva da uno dei tanti processi per oscenità in Georgia, fu ucciso a colpi di pistola dal serial killer e suprematista Joseph Paul Franklin, giustiziato nel 2013. Un danno irreversibile al midollo spinale lo costrinse a trascorrere il resto della sua vita su una sedia a rotelle, che in seguito placcò d’oro e rivestì di velluto.

A questo punto sono iniziati molti dei suoi problemi di salute. Per alleviare il dolore intenso e costante, divenne dipendente dagli antidolorifici. Durante una di queste overdose subì un attacco cardiaco e, sebbene si fosse ripreso, gli rimasero problemi di linguaggio. In seguito si sottopose a un intervento chirurgico per rimuovere i nervi che gli causavano dolore alle gambe.

Questo periodo non fu facile nemmeno per Althea, la sua quarta moglie. Anche lei divenne dipendente dai farmaci prescritti al marito e cadde in depressione. Non è mai stato chiarito come, ma all’inizio degli anni ’80 contrasse l’AIDS e morì nel 1987, all’età di 33 anni.

Larry Flynt, biografia del controverso uomo d’affari, interpretato da Woody Harrelson, uscì nel 1996. Il film è stato prodotto da Oliver Stone e diretto da Milos Forman, candidato all’Oscar come Harrelson.

Nel corso degli anni, Flynt ha diversificato la sua attività: si è dedicato alla produzione e alla distribuzione di film porno, ha aperto diversi casinò e si è persino candidato a governatore della California nel 2003.

È morto il 10 febbraio 2021 all’età di 78 anni per insufficienza cardiaca nella sua casa di Los Angeles, negli Stati Uniti. Negli ultimi anni il suo impero del porno era andato in declino: la tiratura delle riviste era diminuita di fronte alla popolarità di Internet e la pubblicità era scomparsa dai suoi prodotti stampati.

Social software e knowledge management

Gli strumenti del social software servono a migliorare e far evolvere la gestione della conoscenza (knowledge management), nell’ambito delle aziende.

Fino ad oggi le poche aziende che in Italia si sono dedicate ad attività di knowledge management lo hanno fatto concentrandosi soprattutto sulla gestione dei documenti. I documenti, questa massa di file sparsi su PC e server, essendo il prodotto ultimo di uno sforzo intellettuale venivano e vengono considerati il deposito della conoscenza di un’azienda. Questo approccio è utile solo fino ad un certo punto: esaminando un documento relativo ad un’offerta o ad un progetto possiamo ottenere alcune informazioni su quali sono stati i risultati finali di un processo ma non recuperiamo la conoscenza che è stata necessaria ad elaborare il documento.

Spesso uso un paradosso per descrivere questo tipo di conoscenza: immaginate, in un’azienda, di sostituire tutte le persone con un numero identico di persone dotate delle stesse competenze tecniche delle prime. Pur disponendo della stessa conoscenza tecnica, l’azienda si fermerebbe per una totale mancanza di conoscenza operativa. Per esempio il modo con cui ci si relaziona con un cliente piuttosto che un altro, chi è più preparato su certi argomenti tra i propri colleghi, quali sono le procedure per fare quelle mille piccole cose che si fanno ogni giorno in ogni impresa e che sono il frutto di un’evoluzione non registrata in alcun manuale, documento o intranet. È questo tipo di conoscenza quella che vogliamo cogliere con il social software, in modo da sviluppare un nuovo tipo di knowledge management incentrato sulle persone.

L’unico strumento che oggi viene usato a questo scopo, seppure in modo parziale ed improprio, è la posta elettronica. In molte aziende si usa la posta per qualunque tipo di comunicazione interna non formale, dal messaggio personale alla circolare, dalle mail-list alle comunicazioni di servizio. Se sommiamo a questo uso della posta elettronica il fatto che una quantità sempre maggiore di posta non richiesta (SPAM) riesce oggi a raggiungerci, ci troviamo nella non rara situazione in cui centinaia se non migliaia di messaggi di posta elettronica giacciono non letti nelle nostre caselle.

Nuovi strumenti iniziano ad essere disponibili: weblog, aggregatori, wiki, instant messaging. Quello che questi strumenti hanno in comune è che tutti promuovono le conversazioni e lo scambio tra le persone consentendo comunque a queste di regolare il flusso di informazioni e coglierne solo le parti essenziali.

È fondamentale comprendere come uno scambio di informazioni facile e veloce tra persone che lavorano assieme può migliorare l’efficienza di qualunque azienda, promuovendo le relazioni sociali, aiutando a sviluppare fiducia e rendendo le persone consce delle proprie capacità, tutti elementi chiave per la gestione e lo sviluppo di un’azienda.

Intervista a Francesco Verdinelli

Nel 1995, quando internet era ancora agli albori qui in Italia, è stato proprio un nostro connazionale, Francesco Verdinelli, a sperimentarne per primo l’uso in relazione al teatro agito con lo spettacolo “Internautilus”.
Dall’idea di Francesco Verdinelli e Adriano Vinello è nato, con la compagnia Rag Doll il progetto di uno spettacolo teatrale dalla struttura relativamente tradizionale ma che con l’uso di una videocamera potesse essere visto, in contemporanea con la rappresentazione anche in rete.
Da quella prima sperimentazione sono nate diverse forme di interazione ed ibridazione tra internet e teatro; in questa intervista Francesco Verdinelli, pioniere del web-teatro, ci introduce in questo di un complesso mondo.

Quali sono state le sue esperienze di ibridazione tra internet e teatro?

Il primo passo che ho fatto in questo senso è stato nel 19995 con “Internautilus” praticamente agli albori di internet in italia, tanto che per mandare in rete lo spettacolo in diretta è stato inventato un programma apposito, allora non esistevano ancora real-video o windows media player. “Internautilus” era interattivo in modo primordiale, sono stati reperiti in internet gli stessi “materiali” dello spettacolo, dalla scena al testo, sono arrivati contributi da tutto il mondo.Certamente questa è una forma piuttosto limitata di interazione, ma era anche l’unica possibile in quel momento, considerando che i modem di allora andavano a 14e 4! Lo spettacolo centrale è stato “internet frammenti” che abbiamo messo in scena nel 1996 al Vascello, ed è stato il primo spettacolo con attori collegati in rete che recitavano in diretta con lo spettacolo vero e proprio a Roma. E’ stato poi replicato anche al teatro Simon Bolivar in Venezuela nell’isola Margarita. Il terzo spettacolo nel 1997 è “ l’Inferno”, grazie soprattutto all’evoluzione tecnica di internet, si è riusciti a creare un prodotto più completo, si iniziava ad usare le linee Isdn, molto più veloci, e ciò a permesso un’evoluzione del prodotto finale.

A che cosa il teatro non può rinunciare per continuare ad essere teatro?

Quando ho fatto i primi spettacoli con un attore che recitava dall’Australia alle sette del mattino seguente alla data dello spettacolo in Italia mi sono reso conto della centralità del concetto di momento nel teatro. Quell’attore, infatti, nonostante la differenza d’orario faceva la sua performance avveniva come momento scenico in contemporanea con gli attori che recitavano sul palcoscenico di Roma. Quell’attore era lì ed ora e noi siamo qui ed ora.Nonostante la distanza tra scena e attore, l’atto scenico manteneva una sua unità nella scelta di un momento per la sua nascita.

L’attore che recitava dall’Australia che percezione aveva dello spettacolo?

Aveva una percezione in stream, ovvero vedeva lo spettacolo e aveva un idea precisa della situazione con la quale interagiva.Ma è molto importante sottolineare che tutto lo spettacolo è stato concepito per gli spettatori italiani. Il “fatto” teatrale era al centro dell’evento, il fatto temporale e le incursioni dal mondo sono un allargamento del palcoscenico, ma non c’è dubbio che il palcoscenico sia lì!

Come può influire internet nel linguaggio teatrale?

Certo, molto dipende da come lo si usa. Per noi, nel nostro linguaggio, internet ha influito moltissimo. Ma anche se il teatro è restio a cambiare, credo che prima o poi, magari in forme ancora da pensare, internet entrerà di prepotenza nel teatro e nella rappresentazione. Forse in modi diversi dal mio, io ho creato una sinergia molto forte ai limiti della “rottura”, ma sicuramente l’influenza sarà consistente, forse più forte di quella esercitata dalla televisione che a differenza di internet manca di interattività.

Cosa l’ha spinta a sperimentare la sinergia tra internet e teatro?

L’esigenza scenica mi ha fatto avvicinare a questi argomenti, l’esigenza artistica mi ha fatto scorgere il potenziale creativo delle nuove tecnologie e mi ha spinto a conoscerle e a lavorare in questa direzione, tanto da arrivare a suggerire la creazione di un nuovo programma che potesse rendere possibili le mie idee artistiche.

Secondo lei sono i limiti tecnici, che nonostante i progressi fatti esistono ancora, a frenare le sperimentazioni in questo senso, o in realtà il teatro non ne sente ancora la necessità?

È possibile! Io nel mio percorso artistico ne avevo bisogno ! La mia necessità l’ho soddisfatta. Pensiamo solamente che la questione del connubio tra teatro e televisione è ancora aperta! Io credo che sicuramente è più giusto creare teatro in interazione, e magari sì poi vederlo sulla scena, perchè il margine di creatività e di interattività di internet è sicuramente più funzionale al teatro della comunicazione univoca della televisione. E poi le possibilità sono praticamente infinite, ad esempio un attore Shakesperiano che recita da Londra in inglese è una cosa che mi emoziona, oppure come scelta drammaturgia mettere Macbeth in Australia e Lady Macbeth in Italia, assume un significato, diventa un modo per raccontare una storia. Questo è un modo che mi appartiene e che mi diverte, ed è interessante vedere anche come si mescolano diversi percorsi, quello tecnico, drammaturgico, spettacolare. Questi mezzi, che io forzando la mano ho sperimentato anni fa, stanno diventando sempre più quotidiani e sicuramente prima o poi arriveranno ad essere considerati “normali”.

Forse il segreto è utilizzare internet come uno strumento scenico e non come un tema?

È come poter avere la possibilità di scrivere con più punti di vista o con più scrittori; internet è un modo di moltiplicare gli orizzonti e le possibilità.

Dichiarazione 2002: Euro o Lire?

La stagione primaverile, oltre agli aspetti positivi legati al ritorno del bel tempo, propone anche scadenze di natura fiscale, di certo, le meno amate dagli italiani. Formalità fiscali e tributarie alle quali ottemperare entro i termini di scadenza previsti, definiti da norme di legge e dalle disposizioni emanate dall’Agenzia delle Entrate. I contribuenti chiamati per primi ad affrontare l’impatto con il fisco sono i lavoratori dipendenti, i pensionati ed i collaboratori coordinati e continuativi che intendono usare il modello 730/2002 per dichiarare i redditi conseguiti durante l’anno d’imposta 2001, cioè per il periodo compreso tra l’1 gennaio ed il 31 dicembre dello scorso anno.

Per il decimo anno consecutivo rimane in uso il modello 730 che viene utilizzato da un rilevante numero di contribuenti i quali hanno un sostituto d’imposta che effettua le operazioni di conguaglio fiscale; la compilazione di tale modello è particolarmente semplificata e gli interessati devono rivolgersi al proprio datore di lavoro, pubblico e, o all’ente che eroga la pensione in caso di pensionati, oppure ad un CAF, centro di assistenza fiscale. Utilizzare il modello 730/2002 conviene perché non richiede operazioni per il calcolo delle imposte in quanto a farlo provvede il soggetto che presta l’assistenza fiscale. Inoltre consente di recuperare l’eventuale rimborso in busta paga o con la pensione dei mesi di luglio o agosto e prevede il versamento dell’eventuale imposta dovuta con trattenuta operata direttamente dal datore di lavoro, o dall’ente pensionistico in caso di contribuente pensionato, senza predisporre altri moduli, evitando così conseguenti probabilità di errori e file in banca o alla posta. La normativa consente, inoltre, che il contribuente interessato possa chiedere di rateizzare, con una maggiorazione dello 0,5 mensile, l’importo delle imposte da pagare.

Non tutti i cittadini però sono obbligati a presentare la dichiarazione dei redditi, come non tutti possono utilizzare il modello 730/2002; la normativa evidenzia in merito le condizioni nelle quali devono trovarsi i soggetti o per essere esentati dal presentare la dichiarazione o per essere obbligati ad utilizzare il modello Unico 2002. Anche se non si è fra i soggetti obbligati a fare la dichiarazione dei redditi può essere conveniente utilizzare il modello 730/2002 per recuperare eventuali imposte sulle spese sostenute durante l’anno 2001, di solito intese come detrazioni d’imposta, che per l’anno in corso comportano tutta una serie di novità.

Con l’entrata in vigore dell’Euro la modulistica relativa alle dichiarazioni dei redditi si presenta in duplice veste: in euro e, solo per il 2002, anche in lire, lasciando il contribuente libero di scegliere, prestando particolare attenzione alle logiche degli arrotondamenti nel passaggio dalla lire all’euro e viceversa. Pertanto anche il modello 730/2002 si è adeguato a tale necessità proponendosi in due versioni di diversa colorazione, in verde per le lire, in azzurro per l’euro. Il modello 730 può essere presentato, direttamente al proprio datore di lavoro od ente pensionistico, entro il 30 aprile; oppure ad un Centro di Assistenza Fiscale (CAF) entro la data del 30 maggio. Chi si rivolge ad un CAF può decidere se consegnare il modello già compilato, oppure chiedere, a pagamento, l’assistenza per la compilazione. Il contribuente è tenuto a conservare fino al 31 dicembre 2006 tutta la documentazione relativa alla dichiarazione presentata nel 2002 (relativa ai redditi dell’anno 2001), questo vale anche per i contribuenti in possesso solamente del modello CUD 2002 anche se non presentano dichiarazione dei redditi, né come 730 né come modello Unico.

Un po’ di storia

Ho sempre vissuto e lavorato a Salerno fin dalla nascita, tranne una parentesi barese dal maggio del 1999 al settembre del 2000.

Mi sono diplomato all’ I.T.I.S. B. Focaccia di Salerno in Informatica nel 1987 e, dopo una breve esperienza alla SIP, dal dicembre 1988 al dicembre 2001 ho lavorato  presso il Servizio Organizzazione della Banca CARIME (nata dalla fusione tra Cassa di Risparmio Salernitana, Cassa di Risparmio di Puglia e Cassa di Risparmio di Calabria e Lucania). Ho lavorato prima come Operatore EDP, poi come Analista/Programmatore e Sistemista, e successivamente come Analista di. In particolare negli ultimi due anni mi sono occupato della definizione del sistema di rilevazione dei carichi di lavoro degli addetti di filiale all’interno del progetto di revisione del Modello Organizzativo e Distributivo delle filiali della banca.

Il 27 dicembre 2001 ho lasciato la CARIME per essere assunto come Assistente Elaborazione Dati dalla Direzione Amministrativa dell’Università di Salerno e svolgere l’attività di Sistemista presso l’Ufficio C.E.D. dell’Amministrazione.

Sono stato socio dell’AGESCI (Associazione Guide E Scout Cattolici Italiani) dal 1980 al 1995. Nel 1988 ho cominciato a svolgere volontariato come capo-educatore sempre nell’AGESCI occupandomi delle fasce di età dai 12 ai 16 anni e dai 16 ai 21 anni. Nel 1993 ho acquisito il Brevetto di Capo Scout dopo aver completato l’iter di formazione metodologico ed associativo che richiede l’AGESCI, iter iniziato nel 1990.

Essendo uno dei miei compiti principali quello di indirizzare i ragazzi di cui ero responsabile verso attività di servizio sul territorio, entrai in contatto con l’associazione La Tenda, che si occupa di disagio giovanile ed ha un centro di recupero tossicodipendenti affiliato al CEIS di don Mario Picchi. Così collaborai con loro presso il centro di accoglienza, anche se per pochi mesi.

Furono gli incontri con un responsabile dell’AGESCI che era stato missionario in Brasile e con il gruppo di Salerno della Rete Radié Rèsch, associazione di solidarietà internazionale, che mi fecero scoprire l’interesse per le problematiche Nord-Sud del mondo.

Come si dice: l’appetito vien mangiando. E così incontro dopo incontro, amicizia dopo amicizia, mi ritrovai nella primavera del ’94 a vendere prodotti del Commercio Equo e Solidale dopo le celebrazioni domenicali nella mia parrocchia, insieme ad altri due amici. L’anno dopo, il 24 marzo del ’95 (data a me molto cara perché anniversario del martirio di mons. Romero, arcivescovo di San Salvador), fondammo un gruppo missionario che aveva lo scopo di rendere più organico e continuo il lavoro della parrocchia sulle tematiche Nord-Sud e dare un segno concreto di solidarietà verso gli impoveriti della terra.

Partimmo in tre ed ora siamo una decina di persone. A tutt’oggi il gruppo collabora a due progetti. Uno riguarda il sostegno a distanza di una comunità indigena del Messico, nello stato di Hidalgo, in collaborazione con suor Maria Teresa Gargiulo, saveriana, che opera presso la Missione di S. Cruz. L’altro è il finanziamento dei progetti dell’associazione Ser.Co.Ba.di El Salvador, che organizza e sostiene le Comunità Cristiane di Base del piccolo paese centroamericano, che ho potuto visitare di persona nell’agosto del 1998. Saltuariamente organizziamo anche vendita di prodotti del Com.E.S., soprattutto a scopo propagandistico più che commerciale. Ovviamente il gruppo cura anche l’animazione missionaria della parrocchia e la formazione interna sia religiosa che culturale grazie ai padri Saveriani che operano a Salerno.

Occupandomi di Com.E.S. sono venuto a conoscenza delle MAG e del risparmio alternativo e nel ’94 mi sono impegnato in prima persona per la raccolta di firme che fu effettuata per la modifica della legge quadro in materia bancaria. Poi, un giorno, quasi per caso, scorsi sulla rivista degli educatori AGESCI la pubblicità della Cooperativa Verso la Banca Etica. Acquistai delle quote, divenni socio e, dopo aver frequentato un corso di formazione nel novembre del ’96, sono diventato referente territoriale della Cooperativa. Successivamente, nel marzo del ’97, insieme ad altre realtà del volontariato e dell’associazionismo salernitano, abbiamo istituito il Gruppo di Iniziativa Territoriale della Provincia di Salerno, una sorta di comitato promotore pro Banca Etica che, con la nascita della Banca vera e propria avvenuta l’8 marzo 1999, si è trasformato nella Circoscrizione Territoriale dei Soci di Salerno e Potenza, con a capo Agostino Braca, presidente dell’Arciragazzi di Salerno.

Nel 2001 sono anche entrato a far parte della cooperativa di A Sud di nessun Nord, che a Salerno gestisce due Botteghe del Mondo.

Probabilmente c’è ancora altro da dire… ma al momento non mi viene in mente. Perciò vi saluto e vi invito a visitare il sito del gruppo missionario di cui faccio parte e quello della Banca Popolare Etica.

Buona navigazione!

P.S.: a chi interessasse questo è il mio curriculum vitae professionale

Corso di Filosofia a cura del Prof. Marcellino Zenni

Data la propria formazione filosofica, l’interesse di Marcellino Zenni alla storia del pensiero economico si è focalizzato sin da subito su di un nesso cruciale: il rapporto tra etica ed economia. Questo ha avuto come effetto quello di approfondire sia gli aspetti “contestuali”, sia quelli analitici del pensiero di alcune delle massime autorità del pensiero economico: Adam Smith, J.M. Keynes e J.A. Schumpeter. A questi autori, Marcellino ha dedicato numerosi studi, la cui finalità prima è consistita nel cercare di portare a galla gli aspetti che consentissero una comprensione complessiva, ma non generica, degli autori in questione. I quali, per questo, sono stati ricondotti alle loro fonti (esplicite o meno) di carattere filosofico, alla ricerca di un fondamento che potesse meglio far intendere quelle che ad altri sono parse delle vere e proprie contraddizioni (si pensi al cosiddetto Adam Smith Problem) o sono sembrati aspetti secondari (si pensi al cap. XXIV della General Theory keynesiana, o alle tensioni sottostanti la figura dell’imprenditore schumpeteriano). Trattandosi di avvicinare filosofia ed economia politica, uno dei tramiti privilegiati si è rivelata essere la filosofia morale, secondo la moderna tradizione di maturata in Scozia a partire dal XVIII secolo. Di qui, conseguentemente, l’interesse già menzionato al rapporto tra Scienza economica ed Etica.

b. Il pensiero normativo di J.M. Keynes

Al pensiero di J.M. Keynes A.Z. ha dedicato, tra l’altro, un volume, edito nel 1985 con Introduzione di Siro Lombardini. Costituisce l’esito principale della ricerca condotta presso la Fondazione Einaudi di Torino sotto la supervisione dello stesso Prof. Siro Lombardini. Intento di Marcellino è quello di mostrare come il contributo del grande economista inglese debba essere considerato alla luce della complessa vicenda che caratterizza l’opera keynesiana prima della pubblicazione della General Theory. Muovendo dal Treatise on Probability, a cui è dedicata una attenta ricostruzione nell’ambito del contesto filosofico di Cambridge, si sostiene che esista un nesso fondamentale che lega relativismo metodologico e normativismo economico, e che solo alla luce di questo legame sia possibile comprendere le indicazioni normative delle politiche keynesiane e, soprattutto, la prospettiva etica dischiusa nel cap. XXIV della General Theory. Sono a tal fine messi in evidenza alcuni degli aspetti teoretici essenziali che caratterizzano lo sviluppo del pensiero keynesiano – aspettative, fiducia, legame sociale -, il quale è altresì confrontato, con tutte le necessarie cautele, col normativismo giuridico kelseniano, sulla base di una comune epistemologia funzionalistico-relativistica, alla ricerca del “senso” del pensiero normativo europeo tra anni ’20 e anni ’30.

c. L’imprenditore schumpeteriano

All’opera di Schumpeter Marcellino ha dedicato due libri (uno edito nel 1987 su invito dello Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani e l’altro edito nel 2000), un ampio saggio in una silloge (con Prefazione di Giorgio Lunghini) e una serie di articoli, uno dei quali apparso negli Annali della Fondazione Einaudi. Muovendo dalle principali interpretazioni del pensiero dell’economista austriaco, A.Z. ha inteso indagare quale sia lo “spessore” dello Schumpeter “politico”, sostenendo però, sulla base di un’attenta ricostruzione bibliografica, che il pensiero schumpeteriano si qualifica in realtà per la sua impoliticità, desumibile sia dall’impianto metodologico sviluppato prima della pubblicazione della Teoria dello sviluppo economico, sia dallo svolgimento più maturo del pensiero dell’economista austriaco, qual è presente in Capitalismo, Socialismo, Democrazia. Figura emblematica di questa impoliticità è l’imprenditore, dietro la quale sono rinvenibili influssi di grande portata: Nietzsche e Weber, in primis. Il carattere “impolitico” – che conferma il legame di Schumpeter con la tradizione neoclassica, ma anche la profonda attenzione dello stesso alle vicende post-belliche, segnate dal successo della teoria keynesiana e dalla mancata considerazione della teoria dello sviluppo come dinamica storica del capitalismo moderno – rivela altresì quale sia il vero background del noto pessimismo schumpeteriano, segnato da profonde, ancorché implicite, riflessioni di carattere etico, connesse alla trasformazione della società americana e di quella europea dopo la seconda guerra mondiale.

d. Etica ed economia in Adam Smith

All’opera di Adam Smith Marcellino ha dedicato due libri (1995 e 1997) e una serie di articoli apparsi in Italia, Francia, Stati Uniti. A partire dal lungo lavoro di cura dedicato alla prima edizione italiana della Theory of Moral Sentiments (1991), Marcellino ha contribuito a richiamare l’attenzione sulla complessità filosofica del pensiero smithiano. Sulla base del contesto sociale, istituzionale ed economico della Scozia del XVIII secolo, Marcellino ha ricostruito il milieu filosofico in cui matura l’illuminismo scozzese e, in esso, l’opera di A. Smith. Studiando con attenzione i testi smithiani, Marcellino ha proposto un’interpretazione secondo la quale in Smith etica ed economia appaiono non tanto complementari, quanto costitutivamente inscindibili, rendendo perciò necessaria un’adeguata considerazione dei loro rapporti, sulla base di una lettura intrecciata della Theory del ’59 e della Wealth of Nations del ’76, senza mai perdere di vista il ruolo delle cosiddette Lezioni di Glasgow. In questo senso, Marcellino cerca di dar ragione dei rapporti tra etica, diritto, economia, che nell’opera di Smith illustrano il complesso gioco delle passioni umane e il funzionamento delle istituzioni politiche. In sintesi, l’interpretazione di Marcellino si è concentrata su uno dei problemi centrali dell’opera smithiana, quello della non completa o se si vuole impossibile chiusura del rapporto fra economia e politica che costituisce, malgrado le importanti ricerche svolte da Haakonssen e Winch, la riproposizione aggiornata e corretta del cosiddetto Adam Smith Problem.

e. Etica, economia, nuove tecnologie

Gli interessi di ricerca di Marcellino hanno anche un risvolto contemporaneo: il rapporto tra etica, innovazione economica, nuove tecnologie. In questo spazio si collocano alcuni brevi testi sul concetto di Moderno e la cura del Lessico postfordista (2001), un vero e proprio dizionario, a cui hanno collaborato oltre 50 autori, dedicato all’interpretazione dei mutamenti in corso nelle cosiddette società postfordiste. Sempre nello stesso spazio rientrano la traduzione e la cura di testi quali La moneta elettronica, di J.A. Dorn (1998), Il secolo dell’innovazione, di  N. Rosenberg e D. Mowery (2001), La società sorvegliata (2002) di D. Lyon.

Memorie di una guerra interiore

Prima parte

“Io non mi proposi mai di piacere al volgo stupido, ma non vorrei però solamente soddisfare a i maestri d’arte. Anzi sono ambiziosissimo de l’applauso de gli uomini mediocri”: avrebbe avuto dell’inverosimile che Tasso tornasse alla ribalta nelle cronache d’attualità dei giornali per l’opera della sua vita “la Gerusalemme liberata”, oggi più che mai dove la soluzione del conflitto israelo-palestinese resta in una situazione di stallo, senza il riconoscimento dello stato Palestinese, con l’occupazione israeliana dei Territori.

Invece il merito va ascritto ad un centinaio di studenti romani che per la seconda volta digiuneranno contro la ministra Moratti, sempre al “Tasso” 300 docenti di 70 scuole, dai licei, dagli istituti tecnici alle scuole elementari e medie hanno dato via ad un’assemblea autoconvocata contro gli articoli della finanziaria riguardanti la scuola, contro le proposte di riforma della commissione Bertagna.

Da nord a sud sono iniziate le agitazioni studentesche, già a partire dal nov., data in cui il parlamento ha votato l’entrata in guerra. Gli appuntamenti dell’autunno caldo, indetti non solo dai sindacati di base, si moltiplicano a difesa dell’assetto costituzionale: il governo, ciononostante, senza colpo ferire, continua per la sua strada, propone la modifica dell’art.18, presenta il disegno di legge Bossi-Fini sull’emigrazione, tacciato dall’opposizione “alla stregua delle leggi razziali”.

La protesta degli studenti si estende di ora in ora, manifestazioni locali e regionali sono in corso contro la privatizzazione del sapere, contro la riforma degli esami di stato( che prevede una commissione fatta solo da interni), contro i buoni-scuola a sostegno delle famiglie benestanti che mandano i propri figli alle scuole private.

Anche in Sicilia l’ass. alla P.I. ha dichiarato che c’è uno stanziamento in bilancio di ben 100 miliardi, non sono mancate polemiche sia in commissione, sia in sede assembleare, e sono fioccati i sit-in davanti al palazzo D’Orleans.

La rete degli studenti, con occupazioni, blocchi stradali, azioni dimostrative, al centro come in periferia, cerca di stabilire un nesso diretto tra quello che accade nel proprio territorio e quello che accade a livello planetario, mi permetto dire con la combinazione tra un sapere puntuale ed effettuale ed una formazione globale.

Le differenze ci sono e sono evidenti: mentre ad esempio in Veneto e in Lombardia si raccolgono firme per il referendum abrogativo della legge regionale sui uni-scuola, invece in Sicilia si aspetta la totale applicazione della l.r. n°6/2000.

In concomitanza con l’appuntamento nazionale dei Cobas (14 c.m.), sono previsti in tutta Italia cortei per il rilancio della scuola pubblica contro la scuola azienda, in preparazione dell’appuntamento del 19- 20 dicembre a Foligno: pensate in questa città di 50 mila sono stati prenotati dal governo ben 1.200 posti letto sui 1.400 disponibili.

Al controvertice hanno aderito ben 20 sigle, tra cui gli inflessibili di Milano, la rete campana, il coordinamento dei collettivi Romani, gli studenti in movimento della liguria, i disobbedienti del nord-est, la rete sud ribelle, i quali hanno dichiarato: “occuperemo i treni che sevono per arrivare, l’assedio sarà pacifico e non violento, ma quel progetto va cambiato”.

Intanto anche a Giarre e Riposto continua nelle scuole l’attività di informazione e di sensibilizzazione con metodi di lotta differenti: il Classico da ben 1 settimana (un’ora al giorno) discutono delle problematiche inerenti al diritto allo studio, il Commerciale è in Assemblea permanente ed è stato proiettato il film “i cento passi”, l’Alberghiero è formalmente in stato d’agitazione e lamenta l’impossibilità di usare laboratori e attrezzature, l’IPSIA sabin è in autogestione, il Liceo scientifico ha deciso a maggioranza di occupare l’istituto.

Intanto sono pervenuti ai rappresentanti del classico le adesioni dei collettivi studenteschi di Catania, delle scuole di Caltagirone e Randazzo, per una riunione operativa (provinciale) che si terrà venerdì pomeriggio per stabilire le forme di lotta in coincidenza degli Stati Generali.

N.b. Questo è un resoconto dei trascorsi mesi di tumulti causati dalle sopra citate proposte di Legge Bossi-Fini, a breve un report sulla manifestazione tenutasi a Roma poche settimane fa.

Intervista a Serena Sinigallia

Serena Sinigaglia è la giovane regista che, insieme ad un gruppo di diplomati alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano e da diplomati all’Accademia di Belle Arti di Brera, nel 1996 fonda l’ A.T.I.R. (Associazione Teatrale Indipendente per la Ricerca), che ha sede a Milano e lavora in tutta Italia. Il nucleo stabile e continuativo dell’Associazione è composto da undici persone tra attori, regista, scenografa, organizzatrice e staff tecnico.
La Sinigaglia si presenta, ed introduce subito il sul lavoro suo e della sua compagnia. .

“La mia esperienza in teatro comincia quando avevo 18 anni, appena dopo aver finito il liceo. In realtà, prima del teatro, mi sono iscritta alla Facoltà di Lettere di Milano (Statale, perché alla Cattolica non sarei mai andata, visto che costa troppo e non mi sembra giusta come cosa, e dato che sono ebrea). All’università non trovo molti stimoli, e soprattutto non trovo, diciamo una richiesta di partecipazione, ed il solo studiare senza applicare mi fa presto sentire una forte necessità di cambiamento. Anche perché, per le persone della mia generazione (io ho 30 anni, presto 31), che si sono trovate vicine a delle ideologie alle quali poi non si poteva far cenno d’appartenenza senza il rischio di risultare reazionari, l’università ha avuto un ruolo particolare, dato che fu l’ambiente in cui si erano sviluppati i presupposti e gli avvenimenti del 68. Quindi in un certo senso l’esigenza critica fu talmente grande ed esistenziale che mi sono trovata spinta a cercare altre “vie” per la mia vita. Quindi, dopo vari altri tentativi in campi diversi, vado a provare l’esperienza teatrale. I laboratori all’epoca erano in un continuo crescendo numerico, e quello che vi si insegnava colpì più che altro la mia timidezza e riservatezza, senza molti stimoli positivi se non quello di cercare un posto in cui capire meglio cosa fosse il teatro. Avevo sentito dire che la scuola migliore a Milano era quella del Piccolo, per quello che riguardava la recitazione, e la Paolo Grassi per gli altri campi teatrali. Così faccio il provino e vengo ammessa al corso di regia, nonostante la mia sostanziale non preparazione, forse proprio grazie alla mia giovane età.
In occasione dello spettacolo da preparare per l’ultimo dei quattro anni di corso, per la mia prima regia scelgo di confrontarmi col classico dei classici, “Romeo e Giulietta”; in realtà era un testo che non mi piaceva molto, ma che avevo scelto forse, per dirla alla Goethe, per misurare la mia vocazione. Per lo spettacolo chiesi tutti gli attori della scuola, ovvero quelli che per quattro anni sono stati i miei compagni di corso,e me ne furono concessi 9 su 11. Lo spettacolo andò bene, e ci diede il via per fondare una compagnia nella migliore delle condizioni, cioè quella di avere già un gruppo collaudato e non scelto a tavolino. Nel gruppo c’era anche la mia scenografa, proveniente dall’Accademia di Brera e mia amica dall’infanzia. Così nasce l’A.T.I.R..”

Secondo te, vale ancora la pena fare l’accademia, o le scuole di arte drammatica?
Non approfondendo il discorso che ci sarebbe da fare sulla possibilità, esistente o meno, di insegnare ed imparare l’arte, il canale d’accesso per fare qualsiasi tipo di mestiere sembra essere comunque quello delle scuole, se non per imparare almeno per cominciare a conoscere un determinato ambiente. A parte l’aspetto formativo, la Paolo Grassi a me ha dato la possibilità di conoscere registi che facevano teatro e che non avrei potuto incontrare altrimenti: Vacis, Dall’Aglio, Armado Puzzo ed altri.
E poi conoscere persone come quello con cui ho costituito la mia compagnia.
Comunque, un altro modo per fare teatro è farlo, e farlo subito, anche se effettivamente è la via più difficile, anche perché è il mercato stesso a spingerti verso la scolarizzazione.

La presenza femminile nel teatro è spesso limitata all’ambito attoriale, e le registe in realtà sono molto poche. Perché?
Evidentemente perché la posizione della donna non è arrivata ad una reale emancipazione, quindi ci sono dei ruoli, vedi ad esempio la regia, che per antonomasia sono sempre appartenuti al maschio, soprattutto in un paese come il nostro che a volte sembra fermo all’età dei comuni. .
Quando ho cominciato a lavorare, ad andare in giro per fare spettacoli ho riscontrato subito un problema ascrivibile a questo discorso dell’essere donna e regista: ho avuto un impatto forte per esempio con i tecnici, che per il solo fatto che fossi donna presupponevano che io non sapessi niente al livello tecnico, cosa tra l’altro vera, ma che dipendeva dalla mia giovane età e quindi ad un fattore di inesperienza. C’è anche da dire che comunque la regia è un campo decisamente molto giovane rispetto, per dire, alla recitazione; quindi essendoci poche scuole che si occupano di regia in modo valido, ed essendo la domanda e l’accesso femminili molto ridotti, ecco che una parziale spiegazione vien fuori. Per non parlare del fascino che continua ad esercitare qui in Italia la figura del mattatore, del capocomico. E poi perché è davvero da poco tempo che l’accesso a determinati posti è aperto anche alle donne, e questo non soltanto in teatro, basta guardare a quante donne che fanno politica ci sono….

-Nella tua compagnia, oltre agli attori, ci sono anche tecnici e altri componenti?
Nel corso del tempo, avendo problemi coi tecnici, tramite le forze del gruppo ho trovato una persona che poi è diventata il mio direttore tecnico e che si occupa appunto di fronteggiare l’allestimento degli spettacoli quando arriviamo nei teatri. Questa persona ha poi trovato altre persone che gli sono affini nel modo di lavorare e che quindi collaborano con noi.

-Come ti approcci al testo, come nasce lo spettacolo?
Non c’è mai una sola componente e dipende da spettacolo a spettacolo. Per esempio “Lear- ovvero tutto su mio padre” è nato quando ho visto Tutto su mia madre di Almodovar, che mi ha dato il coraggio di parlare della morte di mio padre, ma non per raccontare i fatti tuoi alle persone, piuttosto per fare un’auto catarsi del mio sentimento attraverso le parole di qualcun altro. E quindi ho scelto il testo che meglio incarnava questo mio sentimento, soprattutto perché c’erano delle corrispondenze proprio biografiche e famigliari con i personaggi del testo di Shakespeare, il Lear, che poi è un testo che avevo già approfondito alla scuola per un seminario di. E nonostante alcune sfasature strutturali, come per esempio la mancanza del mattatore, della presenza forte di un attore nelle vesti di Lear, o la mia giovane età forse non adatta per parlare dal punto di vista di un genitore, mi sono detta che o lo si fa da vecchio o lo si fa da molto giovane, avendo un punto di vista preciso. Quindi scelsi il punto di vista di una figlia che il genitore l’ha perso, ed ho parlato di quel malinconico e struggente senso di mancanza che è così splendidamente espresso da Lear e dalle sue vicende.
“Romeo e Giulietta” è stato il confronto con il classico dei classici, che tra l’altro non mi piaceva. In tutte le edizioni del testo che avevo visto erano noiosi, con Giulietta e Romeo bellissimi, da fotoromanzo, per non parlare delle edizioni degli anni 50 con una Giulietta 50enne che parlava come un’adolescente. Per di più avevo 20 anni, e non conoscevo Shakespeare, mi annoiava, non capivo tutte le sue figure retoriche, le costruzioni iperboliche. E se non si fa pratica concreta di autori come Shakespeare, lontani nel tempo, non puoi sentirli tuoi, vicini. Poi con la pratica quotidiana ho capito che quell’uso del linguaggio aveva una cognizione precisissima del senso della vita.
“Baccanti” conteneva un’energia affine a me, e l’ho voluto perché volevo andare in Albania, e nel mio cervello “Baccanti” e l’Albania erano connesse, ed infatti alla fine ci sono andata. Comunque l’importante è che l’opera d’ arte nasca da una necessità, che ci sia una spinta dietro. Dei miei spettacoli quelli che amo di meno sono quelli che non hanno avuto dietro questa spinta. In un certo senso comincio a lavorare nell’impulso informe di uno spettacolo di cui non conosco gli esiti, per dirla con Peter Brook.

-Nei tuoi spettacoli preferisci usare musiche originali o musiche di repertorio?
Uso materiale di repertorio, sia dal vivo che registrato, perché ancora non ho fatto l’incontro con un compositore con cui è scattata, diciamo, la scintilla. E’ lo stesso discorso che si fa con la scrittura, si procede per tentativi. Poi il ritmo produttivo imposto dallo stato ti costringe a scegliere di che cosa occuparti, e visto che degli attori e del testo, ovviamente, non si può non occuparsi, per la musica mi affido all’enorme quantità di materiale a disposizione almeno finché non avrò l’incontro con il compositore. E poi la musica contemporanea è un po’ in crisi, soprattutto per quello che riguarda le musiche per teatro.

-Le scenografie come nascono?
Nell’opera lirica la scenografia, come tutto il progetto di regia, vengono stabilite prima, tutto nei minimi dettagli decisi precedentemente.
Nella prosa invece tutto è più variabile, ed ognuno lavora a suo modo. Con Maria, che è la mia scenografa da anni, decidiamo due tre linee guida della scena, e poi le immettiamo nelle prove, e vengono provate con gli attori, infatti vedendo le nostre scenografie si nota che queste vengono sempre usate dagli attori. Non ci sono scenografie statiche, e queste vengono usate dall’attore così come le parole.

-Come mai la scelta di dedicarti anche alla lirica?
La lirica l’ho cominciata per caso seguendo la possibilità di guadagnare, data la scelta fatta con la mia compagnia di lavorare insieme e quindi di avere tante bocche da sfamare e visto che comunque si tratta di un campo che al livello economico ha tutt’altre risultanze rispetto al teatro di prosa .

-Dal punto di vista della formazione, a parte la scuola, quali sono i riferimenti teatrali, e culturali in genere, che continui a seguire?
Personalmente sto seguendo due percorsi, in un certo senso paralleli. Da una parte lavoro con il teatro classico, che comunque riesce a darti le dimensioni e le competenze diciamo più tecniche della rappresentazione; per questo ho portato in scena “Le Baccanti”, oltre a “Giulietta e Romeo” e “Lear”. Dall’altra c’è, in un certo senso, la costruzione della mia coscienza, una coscienza politica difficoltosa da reperire per quelli della mia generazione, per questo sto lavorando su uno spettacolo sul ’68, per il quale sento il bisogno di “prepararmi” sui mutamenti e le figure storiche che hanno influenzato il 900. In questa chiave sono stati realizzati gli spettacoli “Che. Vita e morte di Ernesto Guevara” e “Rosa la Rossa”, dedicato a Rosa Luxemburg.
Per quello che riguarda la drammaturgia contemporanea invece ho diretto “Natura morta in un fosso”, di Fausto Paravidino, oltre ad un testo ricavato da “Lettere dei condannati a morte della Resistenza Europea” di Malvezzi e Pirelli che ha dato vita allo spettacolo “Come un cammello in una grondaia”.

-Quali sono i lati negativi e “stretti” di questo lavoro?
Probabilmente il problema più grande è quello economico, in sostanza, la fame, perché oggi una compagnia ha due possibilità per lavorare, quella privata e quella statale. Il teatro di qualità in Italia fino ad oggi è stato quello statale, quando si tratta invece, per dire, di Grease o di Glauco Mauri, privato. Di recente, con tutto il sistema economico in mutamento verso una sempre maggiore privatizzazione, il teatro si è trovato impreparato in quanto, quello di qualità almeno, si è sempre basato sui finanziamenti, finanziamenti che poi sono sempre stati ripartiti dal Ministero in percentuali profondamente diseguali tra la lirica, che prende la fetta più grande, il teatro di prosa e la danza. Di questi finanziamenti destinati allo spettacolo, tra l’altro in cifre tra le più basse in Europa, quelli riservati al teatro di prosa coinvolgono anche i teatri stabili, quindi i grandi teatri come l’Argentina e le relative spese. Quindi a questo punto la compagnia per sopravvivere si può affidare o ad un prodotto capace di vendere, uno spettacolo di grosso richiamo affiancato da una buona strategia di marketing, oppure deve affidarsi ai contributi dello stato. Il teatro non è un mass media, non può raggiungere la quantità di persone raggiunto per dire dal cinema, quindi anche spettacoli grandi di prosa possono al massimo fare 500 persone, con grosse spese di affitto per teatri di tale capacità. Così con la mia compagnia abbiamo tentato di accedere ai fondi dello Stato, ed all’epoca in cui Veltroni era al Ministero della Cultura ci fu una specie di corollario alla legge che istituiva una sorta di praticantato per giovani compagnie con determinate caratteristiche, ad una retribuzione a cui avrebbero avuto accesso per i due anni seguenti. Se in quei due anni la compagnia avesse dimostrato di saper gestire i contributi assicurando un determinato numero di spettacoli e repliche, allora avrebbe avuto accesso a quella piccola fetta di contributi con la quale lo Stato manteneva in vita anche i suoi teatri stabili. Noi li abbiamo ottenuti, insieme ad altre 5 compagnie in tutta Italia, nel 97, abbiamo fatto i due anni ed ora prendiamo quanto stabilito avendo “passato” i due anni di praticantato. In cambio di questi fondi, però, lo stato chiede le giornate lavorative ed il borderau, che dimostra che le repliche, circa 80 l’anno, sono andate in scena e sono richieste un certo numero di giornate lavorative pagate, ovvero la testimonianza che la nostra “azienda” produce lavoro e paga i contributi a chi vi lavora all’interno. E, tanto per dire, quest’anno i contributi che abbiamo pagato sono stati di più di quanto abbiamo ricevuto. Molti teatranti già da un po’ si domandano se abbia senso accettare queste condizioni, e se non abbia più senso gestirsi autonomamente e lavorare per istituzioni private.